martedì 16 settembre 2008

Professore, che c'entrano le mele con le pere ?

Qualche settimana fa uno studio della Banca d'Italia ha messo in evidenza il problema della cosiddetta "dispersione scolastica", cioè il fenomeno dei giovani che non frequentano nè scuola nè corsi di formazione.

Nello studio sono riportati alcuni dati che collocano il nostro paese in una situazione peggiore rispetto alla media europea. Da noi il tasso di dispersione è intorno al 20%, contro il 15% in Europa. E la situazione è ancora più grave in Sicilia (oltre il 25%).

Apriti cielo! Si è risentito il prof. Maurizio Gentile, coordinatore dell'"Osservatorio sulla dispersione scolastica" (si tratta di un organo della Regione Siciliana), che ha sentenziato "le cifre di Bankitalia sono troppo generiche", "ciò che viene etichettato come dispersione è un fenomeno assai complesso", "è davvero impensabile che in Sicilia si raggiungano i livelli di abbandono segnalati da Bankitalia". E ha fornito i suoi
dati, che quantificano il fenomeno della dispersione in circa il 16% nella scuola secondaria di secondo grado (e quote inferiori alle elementari e alle medie).

Ora, prima di mettere in discussione numeri e indicatori usciti dalla Banca d'Italia occorre essere cauti; nulla ovviamente è incontestabile, ma le critiche perdono tutta la loro credibilità quando vanno a sbattere contro la serietà e il rigore scientifico.

Il fatto è che, mentre la metodologia di Banca d'Italia è esplicita e per di più utilizzata anche dall'Unione Europea e dallo stesso Ministero dell'Istruzione, i numeri del prof. Gentile rimangono, per così dire, un po' vaghi, e per tentare di interpretarli correttamente si possono leggere altri studi (intendiamoci: meritori) del professore.

E allora si scopre che si tratta di dati alquanto diversi: mentre Banca d'Italia (in buona compagnia, come si è visto) misura la quota della popolazione tra 18 e 24 anni che, dopo la licenza media, non ha proseguito gli studi [modificato il 17.09], i numeri di Gentile misurano quanti, tra gli iscritti a scuola, non hanno frequentato le classi in un dato anno scolastico.

Sono cose molto diverse. La prima è una fotografia della popolazione nell'istante in cui è compiuta l'indagine; nel secondo caso si considerano gli iscritti scolastici, e li si osserva dall'inizio alla fine dell'anno scolastico (gli statistici direbbero che il primo dato è una consistenza, il secondo è un flusso).

Insomma: è come paragonare le mele con le pere.

10 commenti:

  1. Ora mi è chiaro perchè te la sei presa quando ho scritto quel post sull'Istat... e non hai ancora letto quelli che scriverò sulla Banca d'Italia...

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  2. Resta per me il mistero sul perché mai per verificare la dispersione scolastica si vada a vedere cosa fanno i giovani tra i 18 e i 24 anni. In quella fascia di età i ragazzi o vanno all'università o lavorano (ovvero cercano un lavoro). Forse sarebbe meglio considerare la fascia 15-18 anni, quella tipica degli istituti superiori. Comunque, se la Banca d'Italia e altri primari istituti di ricerca internazionali hanno scelto la fascia degli universitari un motivo ci sarà, ma mi sfugge.

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  3. Oltre alle mele e alle pere, io aggiungerei le castagne che si trovano nella testa del professore. E poi, ha ragione Josh: in quella fascia d'età o si va all'università o si lavora o si è in attesa di lavoro. Cosa serve sapere che la fascia 18-24 non frequenta la scuola? Mi sarei preoccupato del contrario: un mondo di asini!

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  4. Mi spiego meglio: l'indicatore UE, utilizzato dalla Banca d'Italia, misura quanti, tra 18 e 24 anni CON AL MASSIMO LA LICENZA MEDIA, non studiano più.

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  5. In effetti il post non era chiaro. Ho modificato. Grazie a tutti.

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  6. Ok, ora si capisce meglio la finalità dell'indagine, però scusa, mi sembra normale che se tra 18 e 24 anni hanno al massimo la licenza media, non pensino più a studiare (al limite, faranno le scuole serali).

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  7. Ma che tipo di conseguenze implica una ricerca simile? Che buona parte dei nostri giovani non possiedono un diploma?

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  8. La "normalità" è che tra 18 e 24 anni stiano continuando a frequentare la scuola o l'università.

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  9. Boh, mi pare strano che in Italia la maggioranza dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni frequenti un corso di studi. Consideriamo tutti quelli che abitano nei quartieri popolari e disagiati, più buona parte di quelli che vivono nei piccoli paesi; non credo che questi vadano a scuola o all'università a quell'età.

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