Il bersaglio principale delle proteste degli universitari (studenti e professori) è la legge 133 del 2008.
Questa norma, oltre a consentire agli Atenei la trasformazione in fondazioni, riduce le risorse del cosiddetto Fondo di Finanziamento Ordinario (Ffo) e stabilisce una forte compressione del turn over. In sostanza le Università potranno assumere, al massimo, una persona per ogni cinque che vanno in pensione.
Ma quanto si spende in Italia nel settore della ricerca ? Come siamo messi rispetto agli altri paesi ? Approfondiamo utilizzando i dati più recenti dell'Istat.
La spesa in ricerca e sviluppo nel nostro paese è effettivamente modesta: nel 2001 era pari all'1,11% del Pil, mentre nei paesi UE (a 15) era l'1,83% (in Germania il 2,51, in Francia il 2,23, in Spagna lo 0,95).
Bisogna però considerare che nel calcolo di questo indicatore è inclusa anche la spesa delle imprese private. Se proviamo a eliminare questa componente rimane la spesa delle Università, della pubblica amministrazione e degli enti noprofit: la posizione dell'Italia in questo caso migliora, avvicinandosi notevolmente alla media europea: 0,56% del Pil, contro lo 0,66% della media UE a 15 paesi (Germania 0,76, Francia 0,82, Spagna 0,45).
Insomma: siamo indietro, ma soprattutto per "colpa" delle nostre imprese private che, anche per via delle loro dimensioni, trovano poco conveniente investire nella ricerca.
Il problema dell'Università non pare proprio (al momento) quello dei fondi. Allora, se siamo in coda alle classifiche mondiali sulla qualità della ricerca dei nostri atenei, qual è il problema ?
Domanda retorica.
RispondiEliminaI dati Istat si riferiscono alla situazione PRIMA della legge 133. Ci sono dati su quale sarebbe la situazione DOPO?
RispondiEliminaLa riforma del sistema educativo promossa in Francia nel 2002 da Jack Lang fu impostata da una commissione, formata da tutte le componenti interessate, che lavorò e si confrontò pubblicamente per un totale di 18 mesi.
L'attuale ministro francese Darcos è stato aspramente criticato perché ha pubblicato una riforma che è stata elaborata in "soli" 3 mesi + 3 settimane di discussione pubblica. (Fonte: Jack Lang: "L'école abandonée", lo sta leggendo mia moglie).
Per quanto tempo sono state discusse le attuali "riforme" italiane?
Aggiungerei che le imprese private all'estero investono in ricerca anche nelle Università.
RispondiEliminaDunque il problema italiano è ANCHE quello dei fondi per la ricerca.
Angelo, il vero problema dell'Università sta proprio oggi su Repubblica (nazionale e Palermo).
RispondiElimina(http://www.repubblica.it/interstitial/interstitial1345704.html)
Quelle cose sono il vero ostacolo per la ricerca in Italia. Gli studenti dovrebbero mobilitarsi contro queste porcate, che costituiranno una barriera formidabile per quelli, tra loro, che vorranno iniziare la carriera accademica.
Invece raccolgono la pelosa solidarietà di quegli stessi baroni e ricercatori che, una volta ottenuto il salvataggio delle "loro" risorse, chiuderanno le barriere all'ingresso facendo loro un bel pernacchione.
Antonio ha colto il punto della situazione: gli studenti scendono in piazza per protestare e occupare(del resto, è una cosa che si ripete ogni anno, tanto da sembrare sospetta...), poi alla fine seduti nelle poltrone a dirigere o a lavorare nei vari dipartimenti sono sempre i figli di o i nipoti di. I veri gattopardi sono questi!
RispondiEliminaHo visto Repubblica. Sono d'accordo su quale sia il problema. Ma non credo che si risolva "chiudendo i rubinetti".
RispondiEliminaAnche perché così facendo, cioè "semplificando", si rischia di fare il gioco di chi vuole "Thatcherizzare" l'Italia.
Ed il meno che si può dire al riguardo è che ricorrere alle "cure Reagan-Thatcher" nel momento in cui il resto del mondo si rende conto che sono state una presa in giro, è controproducente.
Basterebbe, invece, modificare i criteri di selezione, uniformandoli a quelli dei paesi-guida (Francia, Germania, USA).
Vedo che sia Antonio sia Mik hanno dato la giusta risposta alla domanda retorica
RispondiEliminaGiusto per completezza, riporto il commento di Lagalla (ex Assessore Regionale alla Sanità e adesso) Rettore dell'Università:
RispondiElimina“I medici non sono diversi dai registi o dagli attori. Si respira l’aria della professione in famiglia e si cerca di seguire le orme di papa’. Io non sono pregiudizialmente contrario che un padre accademico abbia un figlio che lo segue all’universita’.Succede in tutti gli atenei - puntualizza -. Detto cio’, deve sempre essere garantito a tutti coloro che hanno i titoli l’accesso aolla professione. E sotto questo punto di vista si puo’ fare qualcosa”.
Ecco a voi: il primo "marameo"...
"Cosa facciamo?"
RispondiElimina"Non lo so. Tu cosa vuoi fare?"
(Gli avvoltoi de "Il libro della giungla" Disney).
http://it.youtube.com/watch?v=eqt5B1yDjOU