La storia di Norman Zarcone, giovane dottorando della facoltà di Lettere di Palermo suicidatosi qualche mese fa, è abbastanza nota, soprattutto grazie ai notevoli articoli di LiveSicilia.
Nelle settimane successive al suicidio, il padre del ragazzo ha appuntato l'attenzione sul crescente senso di isolamento vissuto dal figlio negli ambienti della facoltà e sulla prepotenza delle baronie universitarie. L'ultima polemica, tra le mille che ne sono seguite, riguarda l'idea di intitolargli un'aula della Facoltà. Contro la proposta, secondo le voci raccolte da LiveSicilia, si sarebbero mossi i potenti baroni della Facoltà.
Uno tra questi, esplicitamente nominato, ha accettato di essere intervistato. E, dopo aver rivendicato il diritto che siano verificate le pesantissime accuse su di lui circa presunte "vessazioni" nei confronti di Norman, ha definito il proprio ruolo in questi termini:
"Io sono un barone. Lo sono, cioè, se con questo termine indichiamo una persona che goda in ambito universitario di un prestigio meritato, capace di influenzare le scelte degli altri. Gestisco un potere che mi sforzo di mettere al servizio della comunità."
Non conoscevo la notizia, né il resto.
RispondiEliminaDevo ammettere che le parole del docente hanno un loro senso dove dice che intitolare un'aula è un modo "facile" per non affrontare il problema reale (la raccomandazione e la baronia elevata a sistema).
Dal lato degli studenti, la richiesta dell'apposizione della targa commemorativa cos'è se non il tentativo di dare visibilità alla posizione di chi ritiene che la baronia sia un enorme danno per l'Università?
Dunque, l'intitolazione dell'aula non è IL PROBLEMA.
Non mi pare proprio che quel professore abbia alcuna intenzione di affrontare il "problema reale", cioè il baronato.
RispondiEliminaSono d'accordo. Ma neanche gli altri lo vogliono affrontare (né i docenti né gli studenti).
RispondiEliminaMassima stima per il professor Lo Piparo, allievo di De Mauro, docente con un curriculum ineccepibile e di primo livello. Ho fatto anch'io quel dottorato, senza borsa tra l'altro (all'epoca già lavoravo), capii ben presto che su 8 partecipanti forse ci sarebbe stata qualche speranzella per uno o due di noi, un assegno qui o una borsa di studio là.
RispondiEliminaMi seccò molto quando capii che la mia ricerca non suscitava l'entusiamo del collegio docenti (a dire il vero, neanche del mio tutor), un po' me la presi ma non pensai mai al suicidio come gesto di protesta: anche perché onestamente pensavo (e lo penso tuttora) che ci fosse gente un po' più preparata e intelligente di me.
Ai tempi della vicenda di Norman, Lo Piparo ci ha inoltrato per conoscenza la lettera che aveva scritto al padre del ragazzo, e francamente, almeno per chi lo ha conosciuto, tutto può sembrare eccetto che il classico barone che manda avanti amici e sodali incompetenti.
A questo punto, sorge spontanea la curiosità: di cosa trattava la tua ricerca?
RispondiEliminaIn un contesto meritocratico, nelle occasioni in cui si riceve una valutazione al di sotto delle proprie aspettative, si e' piu' disposti ad ammettere le proprie lacune e, in ultima analisi, a migliorarsi.
RispondiEliminaCaro Angelo, la mia ricerca si intitolava "Come vendere cose con le parole", e trattava sostanzialmente delle marche e delle tecniche che usano per raccontare mondi possibili e affascinanti.
RispondiEliminase non ricordo male, l'avevi pubblicata online.
RispondiEliminaSì, hai ragione, deve essere da qualche parte on line... Per tornare al discorso del baronato, nulla vieta di andare a cercare e prendersi gli allori altrove, all'estero magari.
RispondiElimina"nulla" non direi. C'è almeno una questione di censo.
RispondiEliminaE poi non va trascurata la perdita per la collettività.