
Per i non addetti ai lavori la rappresentazione che i mezzi di informazione hanno dato della rottura delle trattative tra Cgil da un lato e governo, confindustria, e gli altri sindacati dall'altro, si inquadra perfettamente, rafforzandola, nella concezione di un sindacato "vecchio", capace solo di dire no.
Tanto per non farla lunga, il principale nodo del contendere è la perdita di importanza dei contratti collettivi nazionali, i quali rimanderebbero sempre più ai contratti integrativi aziendali.
Un editoriale di Scalfari su Repubblica di domenica 25 gennaio ha il pregio di semplificare la questione, di per sè complessa. Di seguito ne riporto un estratto; l'articolo intero sta
qui.
In sostanza l'operazione prevede una piattaforma al ribasso dei contratti nazionali, da recuperare nei contratti di secondo livello che saranno stipulati azienda per azienda, con esplicita esclusione di contratti di "filiera" riguardanti aziende di analoga struttura e produzione.
Poiché il 95 per cento delle imprese italiane sono di piccolissime dimensioni, ciò significa che per una moltitudine di lavoratori il contratto di secondo livello non ci sarà mentre il contratto nazionale di base partirà con una decurtazione notevole.
E' così che stanno le cose? Lo domando alla signora Marcegaglia e a Bonanni e Angeletti. Sarò lieto di essere smentito sulla base di fatti provati, ma se così è, a me sembra scandaloso.